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L’agape, il ‚Äúbene in eccesso‚Äù e la sua applicazione nella società moderna

È raro, ma esiste: è qualcosa di più del dono, di più della giustizia e della solidarietà. È un bene in eccesso, che non richiede contropartita e che viene dato senza essere richiesto. È un quid di non facile definizione, che ha un nome aulico: “agape”. Etimologicamente significa “amore fraterno, disinteressato” ed è un concetto che, pur sembrando puramente teorico, ha forti connotazioni pratiche anche nella società e nel welfare moderni. A questo tema è stato dedicato il terzo seminario internazionale di Social-One (gruppo internazionale di sociologi e studiosi del servizio sociale), dal titolo “L’agire agapico come categoria interpretativa per le scienze sociali“, organizzato in collaborazione con il Dipartimento di sociologia dell’Università Cattolica di Milano, la Fondazione “E. Zancan”, la Universidade Federal do Pampa in Brasile, la Katolìcka Univerzita V Ruzomberku Pedagogicka Fakulta (Slovacchia), la Facoltà di scienze della formazione dell’Università di Catania, il Dipartimento di sociologia e scienza della politica dell’Università di Salerno. In questa sede, esperti internazionali, studiosi, ricercatori, dottorandi e studenti hanno condiviso ricerche empiriche e riflessioni teoriche, metodologiche e pratiche sul concetto dell’agape.
“Il valore dell’agire agapico – spiega il direttore della Fondazione Zancan, Tiziano Vecchiato – è un beneficio di solito sproporzionato rispetto a quanto ci si possa aspettare. Viene definito eccesso di bene, di valore. Il seminario si proponeva di studiare sul piano teorico questa dimensione dell’agire sociale guardando anche alle sue ricadute di welfare”. Essendo un concetto fluido e non facilmente osservabile, gli studiosi si sono interrogati su come poterlo definire, approfondire, diffondere: “Pensiamo di creare un gruppo di ricerca per capire come proseguire, come passare a una fase più operativa, di ricerca sul campo” spiega Gennaro Iorio, docente di Sociologia generale all’Università di Salerno, che fornisce esempi pratici di agire agapico, come “l’adozione a distanza, ma anche atti eroici come quello di Schindler, Perlasca e tutte quelle persone che sono arrivate perfino a mettere a rischio la propria vita per gli altri, senza ragione, senza che venisse loro chiesto niente e senza aspettarsi qualcosa”. Nel concreto, dunque, l’agape trova già applicazione nella società e nella vita quotidiana. Un altro esempio è l’esperienza della Cittadinanza sociale in relazione alla povertà: “Qui l’agape consiste nel non considerare il povero come un escluso, inferiore, come mancante di qualcosa, ma al contrario come depositario positivo di una legittimazione sociale – continua Iorio –. In questo avviene un riconoscimento della dignità che è indispensabile se si ambisce a una convivenza pacifica. In questo senso, l’agape può essere considerato anche dalle istituzioni, rompendo la logica del conflitto”.
Anche sul fronte dei servizi alla persona la prospettiva dell’agire agapico può facilitare la conoscenza e la sperimentazione, come riferisce Elisabetta Neve, docente nel Corso di laurea in servizio sociale dell’Università di Verona e collaboratrice della Fondazione Zancan: “Qui il concetto può essere applicato a due livelli: il primo è quello del lavoro microsociale svolto dai professionisti, attraverso una relazione diretta con le persone; il secondo riguarda un lavoro più istituzionale, che comprende anche i soggetti del welfare e il terzo settore”. Secondo Neve, bisogna agire su più fronti: “Continuare ad approfondire il concetto sul piano teorico, sviluppare ricerca empirica per capire come l’agape si manifesta, capire cosa e come fare per favorire questo tipo di azione”.