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Perch√© Cameron perderà la battaglia contro l’assistenzialismo

Con la fine dell’assistenzialismo i sistemi di welfare potrebbero veramente cambiare? Quelli descritti nei testi di studio affidavano all’Europa settentrionale il compito di essere fiscalmente universali, a quelli centrali di essere  «mediani» cioè un po’ fiscali e un po’ mutualistici, a quelli mediterranei di essere un po’ pubblici e un po’ sussidiari, in pratica  «familisti». Proprio così, con una sottile vena di pregiudizio per la famiglia, che non è di per sé mediterranea, visto che coltiva la vita in ogni latitudine. La scienza novecentesca non ha seguito criteri logici per differenziare i sistemi. Modalità di raccolta fondi, regole di redistribuzione, criteri di accesso … sono rimasti criteri osservazionali e non sono diventati sintassi per discriminare le capacità  «pubbliche e sociali» di governare il rapporto tra bisogni, risorse, diritti e doveri. Ad esempio in Spagna la quota fiscale sanitaria è sotto il 75%, molto più simile alla Gran Bretagna che al nostro Paese.

Un nuovo welfare è possibile?

Al grido di «basta assistenzialismo! » non è la prima volta che dalla Gran Bretagna arrivano annunci salvifici: terza via, big society e ora «zero assistenzialismo». Ma come? Semplice: obbligare i disoccupati a corsi intensivi di tre settimane non retribuiti. Chi rifiuta perde gli aiuti di welfare. È il piano antidisoccupazione di Cameron, sperimentale in Cumbria e nello Yorkshire, che sarà pienamente operativo nel 2017. I giornali britannici lo definiscono «work boot camp»: chi dai 16 ai 21 anni chiede l’assegno di disoccupazione dovrà frequentare «Intensive Activity Programme-IAP» per imparare a compilare un curriculum, gestire colloqui e tecniche di ingresso nel lavoro. Matthew Hancock, ragioniere generale dello Stato, sintetizza così il progetto: «Stroncare la welfare-dipendenza e impedire che si trasmetta da una generazione all’altra» con «severità e senza scuse». L’orizzonte? Ridurre la spesa per sicurezza sociale ora di circa 210 miliardi di sterline.

L’aiutato non rispettato finirà per odiare chi lo aiuta?

Purtroppo siamo lontani dalle proposte di welfare generativo. La cultura tradizionale di welfare non tiene conto che l’attivazione prescritta è un esercizio di potere «proprietario e non condiviso» di risorse pubbliche. Non può «condizionare» le persone e pretendere di riuscirci «senza di loro». Lo confermano le sperimentazioni iniziate con il reddito minimo di inserimento dal 1998 ai giorni nostri. Persiste una cultura assistenzialista nelle amministrazioni che erogano risorse senza attivazioni reali ma soltanto burocratiche. È uno scambio disuguale, condizionato dal potere di chi ha le risorse e dalla debolezza di chi ne ha bisogno. Viene così bypassata la dignità delle persone, la loro capacità di concorso al risultato, la corresponsabilità sugli esiti, evitando l’incontro tra la responsabilità di chi aiuta e la responsabilità di chi è aiutato. Siamo cioè lontani dai potenziali del welfare generativo. Chi sperimenta la beneficienza istituzionale prescrittiva e senza rispetto finirà per odiare chi esercita il potere in questo modo. 

Fonte: Rubrica Welfarismi di Tiziano Vecchiato, Vita settembre 2015