Skip to content Skip to sidebar Skip to footer

La psichiatria che funziona? ”Quella aperta al non profit”

Parla Franco Fasolo, psichiatra e direttore emerito del Dipartimento interaziendale di salute mentale di Padova: ”Purtroppo tuttora questo ambito è visto come non pertinente”

PADOVA – Uscire dall’ambito strettamente medico e farmacologico per aprirsi alla comunità e al sociale, mettendo al centro la persona in tutte le sue sfaccettature: è questa la sfida che la psichiatria del futuro dovrà accettare – e in parte ha già accettato – per garantire la guarigione alle persone affette da disturbi mentali. Ne è convinto Franco Fasolo, psichiatra e direttore emerito del Dipartimento interaziendale di salute mentale di Padova, oltre che full member della “Group analytic society” di Londra, autore del libro “Gruppoanalisi e salute mentale” edito da Cleup.

“La psichiatria che funziona è quella che adotta un approccio multidisciplinare e che si apre alle reti sociali e al no profit – sostiene Fasolo -. Purtroppo tuttora questo ambito è visto come non pertinente, di secondaria importanza”. Ed è proprio questa aria ‘snob’ che la psichiatria deve riuscire a scrollarsi di dosso, perché “se non si dà il giusto peso alla comunità, se non ci si apre al no profit come alle imprese del privato sociale tanto importanti nel loro ruolo di ricollocamento lavorativo, allora si garantiscono le condizioni di rischio di inefficacia”.  La via da percorrere, quindi, è quella della ‘psichiatria di comunità’, che non si accontenta di un singolo approccio – sia esso sociale, farmacologico o psicologicio -, ma che lavora a livello multidisciplinare. Rimette, in sostanza, l’individuo al centro, ma lo colloca all’interno di una rete di rapporti che non sono solo familiari, ma in genere di comunità. “La psichiatria su cui bisogna insistere è molto sociologica perchè radicata nel sociale – spiega l’esperto -, ma è anche antropologica, nel senso che deve considerare la persona da tutti i punti di vista e in tutti i suoi modi di essere”. Inoltre, si potrà parlare più facilmente di guarigione solo valorizzando la salute mentale, più che la salute prettamente psichica o cerebrale.

Tecnicamente, questo approccio è possibile attraverso un lavoro di gruppo, che coinvolga altri pari estranei, cioè persone poste allo stesso livello con cui confrontarsi e crescere insieme. La cosiddetta ‘gruppoanalisi’, dunque, è una traduzione particolare della psicanalisi, che però privilegia il lavoro in gruppo. Inoltre, mentre la psicanalisi si concentra sulla persona e sulla famiglia, questo tipo di approccio alternativo si concentra sui pari estranei, promuove l’autonomia del gruppo eliminando per quanto possibile il rapporto paziente-terapeuta: “Sono gli stessi membri del gruppo che si aiutano, interagiscono fino ad arrivare, negli obiettivi, a essere autonomi”. Si tratta di un approccio non nuovo, nato negli anni Sessanta, ma non ancora accreditato appieno nei dipartimenti per la salute mentale. Maggiore popolarità, invece, ha saputo ottenere nei day hospital e nei centri diurni. Comunque si vedono margini di apertura: “La psichiatria farmaceutica è in crisi a livello internazionale a causa della dipendenza generalizzata dalle cause farmaceutiche. Per uscire da questa impasse è indispensabile puntare sul nuovo approccio della psichiatria di comunità”. Si tratta di abbandonare la convinzione che solo i farmaci possano influire sul cervello, poiché è dimostrato che attraverso i ‘neuroni specchio’ anche i rapporti sociali possono ottenere mutamenti a livello cerebrale. 

Tratto da Redattore Sociale