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La spesa sociale dei comuni del veneto: criticità e potenzialità

La Fondazione “E. Zancan” di Padova torna a occuparsi della spesa sociale dei comuni veneti, questione che già è stata al centro di una precedente ricerca presentata lo scorso novembre, realizzata con l’Ulss 9 per conto della Regione Veneto. È iniziato ieri (14 giugno), per concludersi sabato 17 luglio, il nuovo seminario di ricerca a invito “La spesa sociale dei comuni del veneto: criticità e potenzialità”,  organizzato in collaborazione con la Cgil Veneto nella sede estiva della Fondazione a Malosco, in Trentino. Qui gli esperti si sono riuniti per analizzare e confrontare i dati relativi alla spesa sociale veneta e per capire se e fino a che punto le notevoli differenze territoriali riscontrate, tali da configurare diversi profili di welfare, sono giustificate, coerenti e in linea con i bisogni del territorio di riferimento.
Lo studio sul Veneto evidenzia un notevole dislivello tra aree territoriali: nel 2006 il rapporto tra la spesa minima e quella massima per gli stessi problemi è stato di 1 a 13. il che significa che se un territorio ha speso 1 (dato minimo), altri sono arrivati a spendere 13 volte di più per dare risposte a bisogni analoghi. Di questi, 66,71 euro rappresentano la quota di spesa gestita dai comuni, mentre i restanti 16,22 euro pro capite sono risorse che finanziano gli interventi sociali delegati alle Ulss. Complessivamente i comuni del Veneto hanno speso nel 2006 quasi 395 milioni di euro, pari a 82,93 euro per ogni abitante ma, se si analizza la spesa dei singoli territori, ci sono comuni che investono fino a 225 euro pro capite, altri che ne spendono 36.
“La disomogeneità territoriale che abbiamo più volte messo in luce evidenzia un deficit strutturale di conoscenze di governo unitario del sociale – spiega Maria Bezze, ricercatrice della Fondazione Zancan –. Non è quindi solo un problema di carente solidarietà e collaborazione tra enti locali, ma di difficoltà di interpretare il senso delle funzioni sociali in capo ai comuni. Una parte di esse è delegata alle Ulss mentre il resto, cioè la maggior parte delle attività di iniziativa comunale, è gestito in uno scenario di libero esercizio delle responsabilità, senza vero coordinamento, senza indirizzi strategici, senza verifiche”.
 “Questi problemi non riguardano solo le amministrazioni pubbliche ma anche le dinamiche partecipative – aggiungono Cristina Bastianello, e Franco Piacentini di Cgil Veneto – e possono esprimersi in diversi modi: nella conoscenza e valutazione dei bisogni, nella scelta delle priorità, nel governo delle risorse, delle risposte, nella verifica di efficacia, di impatto sociale di welfare. In un momento in cui, non solo per gli effetti della crisi, alcune garanzie di welfare sono messe in discussione e trasformate in offerta di mercato, la questione partecipativa è nello stesso tempo di ordinaria e di straordinaria amministrazione. Lo è anche in forza della transizione al federalismo fiscale”.