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Le domande da farsi sulla povertà educativa

La povertà educativa solleva molti interrogativi. Si posizionano lungo l’asse delle cause e degli effetti per descrivere le condizioni di vita dei bambini e ragazzi che la soffrono. Povertà educativa di chi? Poveri educativi potrebbero essere i genitori che non si curano abbastanza dei propri figli. Ma, nello stesso tempo, molti genitori “poveri” sono capaci di tanto amore, forse più dei ricchi. Parlare di povertà educativa è più facile quando si pensa alla mancanza di qualcosa: scarpe per giocare, libri da leggere, strumenti per suonare, scuole insicure… Se il problema fosse “riempire vuoti e mancanze”, le cifre miliardarie di trasferimenti degli ultimi 5 anni sarebbero bastate. Ma bonus, voucher, card, new card… non sono state sufficienti.

Le domande allora restano: poveri di che? Poveri di chi? Poveri per quanto?

Sono criticità che la legge di stabilità vuole arginare con un fondo strategico: 120 milioni di euro all’anno per tre anni. Si potranno avviare laboratori umani, educativi, oltre il prestazionismo, per trovare soluzioni, per capire come lottare realmente contro la povertà, con risposte pratiche e non teoriche. Riguardano il fare efficace per ridurre la povertà educativa degli adulti: genitori, insegnanti, animatori, istituzioni… Se sarà così, forse si potrà garantire ricchezza educativa fin dai primi anni di vita, con servizi accoglienti e inclusivi.

In letteratura la povertà educativa ha quasi sempre a che fare con il Ses (Socio Economic Status). È positivamente associato allo sviluppo delle regioni cerebrali. Riguardano la conoscenza e l’apprendimento e si vede già a 18 mesi. Chi è deprivato a questa età risente (anche) biologicamente delle conseguenze della povertà educativa. Per certi bambini può addirittura significare rischio di vita. Da noi non è abbastanza considerato, in Gran Bretagna riguarda annualmente e in modo tragico 1.400 ragazzi sotto i 15 anni. Il danno per l’economia è di 29 miliardi di sterline ogni anno, cioè quasi 38 miliardi di euro, circa 2,5 punti del nostro Pil. La povertà educativa fa male. Investire sulla vita fa bene e conviene.

Rubrica “Welfarismi” di Tiziano Vecchiato. Estratto da Vita, giugno 2016