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20 anni dalla legge sul volontariato

Sono strascorsi 19 anni dall’entrata in vigore della legge 266/1991 che ha dato un’identità al mondo del volontariato. A distanza di quasi vent’anni, molti risultano essere i meriti della normativa, che però presenta anche delle lacune. Il passato e il futuro del volontariato sono stati recentemente discussi da Giuseppe Pasini, presidente della Fondazione Zancan, nel corso di un convegno del Csv di Brescia (29 maggio 2010), nel quale si è cercato di identificare le nuove esigenze del volontariato.
Tornando con la memoria alla nascita della legge 266, Pasini ricorda che “la necessità di una regolamentazione è emersa dallo sviluppo del volontariato negli anni ’70. Fino ad allora nell’ordinamento italiano non era consentito un lavoro continuativo, gratuito, non coperto dalle assicurazioni sociali. I sindacati per alcuni anni guardarono con diffidenza alla nuova esplosione del volontariato, considerato una sorta di lavoro non in regola”. In questo contesto, la legge ha avuto il merito di fare chiarezza sull’identità del volontariato, mettendo l’accento sulla gratuità del servizio. Permangono, però, delle lacune: “Anzitutto la legge non si occupa del volontariato nel suo insieme, ma solo di quelle organizzazioni che sono in rapporto con l’amministrazione pubblica. Restano in ombra, inoltre, la capacità autonoma del volontariato di perseguire il bene comune, a prescindere dal riconoscimento dell’amministrazione pubblica, e il suo ruolo di anticipazione di risposte ai bisogni emergenti, di sensibilizzazione sociale alla solidarietà e di stimolo e di controllo delle istituzioni”.
Guardando al presente, Pasini riporta i risultati della ricerca – realizzata dalla Fondazione Zancan – dal titolo “Il futuro del volontariato”, che ha visto il coinvolgimento di 1.424 volontari, per capire cosa pensavano del loro ruolo nella società contemporanea (leggi la news). “Emerge che il volontariato ha nel suo Dna la coscienza di essere un servizio realizzato gratuitamente a vantaggio della comunità, con particolare attenzione alle fasce più deboli e a rischio di emarginazione” riassume Pasini, che delinea così la situazione attuale: “Ci si deve rendere conto che oggi coesistono un incremento della povertà e l’assenza di un piano per combatterla. La sofferenza più grande delle famiglie sta nel sentirsi condannate all’attuale stato di povertà. Di conseguenza le associazioni che si limitassero a svolgere un’azione di pura assistenza rischierebbero, al di là delle buone intenzioni, di rafforzare la permanenza di una zona di povertà di proporzioni consistenti”. È pertanto fondamentale che il volontariato “consideri costitutiva della propria esistenza la funzione di advocacy, ossia l’impegno di promozione e di tutela dei diritti. La testimonianza personale dei volontari è senz’altro preziosa, ma è insufficiente a modificare gli squilibri del Paese e a salvaguardare i diritti delle persone”.
Il volontariato del 2010 si confronta soprattutto con due difficoltà: la prima è l’assenza di collaborazione e di lavoro in rete, la seconda è costituita dal difficile rapporto con le istituzioni, dalle quali i volontari talvolta si sentono strumentalizzati. Per risolvere questi e altri problemi, “il volontariato deve prendere coscienza delle proprie reali potenzialità ma anche dei propri limiti. È indispensabile uscire da ogni tentazione di isolamento e ricercare alleanze con le altre associazioni di volontariato, ma anche con altre realtà non profit”.
“Infine – conclude Pasini – il volontariato deve apprendere l’arte di valutare la propria attività, i risultati del proprio intervento, l’impatto della propria azione e della propria presenza nella modifica della cultura e nel miglioramento delle politiche sociali”.