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Povertà, a cosa sono serviti miliardi di fondi pubblici?

La terra arida assorbe e non rigenera. Le politiche pubbliche di contrasto alla povertà negli ultimi 15 anni hanno desertificato le pratiche professionali, polverizzando quello che hanno di più prezioso: capacità di ascolto e incontro, riconoscimento e valorizzazione delle potenzialità, condivisione delle responsabilità. Il prestazionismo assistenziale ha bruciato quote crescenti di risorse. Ma ce ne siamo accorti?

Citiamo alcuni casi. RMI 1999-2003 oltre 220 milioni di euro. Bonus straordinario famiglie, lavoratori, pensionati e non autosufficienti 2,4 miliardi di euro, previsti in un apposito fondo nel 2009. Carta acquisti 236 milioni di euro nel 2009, 207 milioni nel 2011, 208 milioni nel 2012, 209 milioni nel 2013, 230 milioni nel 2014, 250 milioni annui previsti dal 2015. Nuova social card, 50 milioni per 12 città della sperimentazione, previsti 100 milioni nel 2014 e 67 milioni nel 2015, previsti 120 milioni di euro nel triennio 2014-2016 per estensione territorio nazionale, destinati 380 milioni dal “Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale” per il 2016; “bonus bebè” (assegno triennale natalità) circa 200 milioni di euro previsti per il 2015.

Non è facile dire se questi dati siano esatti perché, pur provenendo da fonti istituzionali, non è certo che siano effettivi. Molto spesso i centri di responsabilità che hanno gestito le risorse non si sono preoccupati di render conto anche solo da un punto di vista amministrativo della loro gestione. Così non è chiaro quale è stata la spesa effettiva e se eventuali risorse aggiunte sono state riallocate. Quando il velo è stato sollevato sulle inefficienze, le lungaggini, le incapacità…, le giustificazioni tecnopolitiche hanno ripristinato il silenzio e l’aridità.

Quanto si sarebbe potuto ottenere con quelle risorse, con pratiche diverse, responsabilizzando in solido gli erogatori e i destinatari, misurando i tassi di rendimento e rigenerazione dei valori a disposizione? Il piano di lotta contro la povertà saprà mantenersi lontano dalle pratiche inefficienti e a responsabilità limitata? Saprà potenziare l’impatto sociale? La lotta alla povertà saprà rivelarsi fertilità inclusiva? Quando non lo è stato si è trasformata in sconfitta, redistribuzione “a perdere”, assunzione passiva di sostanze finanziarie, dipendenza assistenziale. Perché non provare strade nuove per lottare contro la povertà? Perché non farlo con i poveri, i disuguagliati, i senza giustizia e riconoscimento sociale?

Rubrica “Welfarismi” di Tiziano Vecchiato. Estratto da Vita, maggio 2016