L’immigrazione in primis, ma anche le emergenze dei disabili, di chi perde il lavoro e di chi, come i giovani, un impiego non l’ha mai avuto: monsignor Giovanni Nervo, fondatore e primo presidente della Caritas, fondatore e ora presidente onorario della Fondazione Zancan, guarda con occhio critico al panorama sociale attuale. E sui respingimenti degli stranieri avverte: “È a rischio la pace sociale. Come cristiani non possiamo dire il Padre nostro e poi mettere alla porta i nostri figli”.
Monsignor Nervo, come vede il panorama sociale attuale in Italia?
Mi pare che non stiamo andando avanti e ritengo che ci siano delle posizioni verso cui la comunità cristiana – se volesse essere coerente con se stessa – dovrebbe porsi in modo critico. Mi riferisco in particolare a coloro che sono certamente gli ultimi, cioè gli immigrati. Ora come ora la risposta politica al fenomeno è di rifiuto e non di accoglienza: non ci si pone mai la domanda perché vengono qui, né ci si chiede che responsabilità abbiamo tutti noi rispetto alla povertà che attanaglia i loro paesi. E non si pensa mai con realismo che, in fin dei conti, noi abbiamo bisogno di loro. Infine, non si riflette mai sul tipo di società che troveranno i bimbi che nascono adesso: quando noi siamo andati a scuola, in prima elementare abbiamo trovato compagni tutti italiani. Le nuove generazioni troveranno invece compagni di tutti i colori e di tutte le lingue. Come faranno a vivere insieme? Se noi costruiamo oggi una società che li rifiuta sarà una situazione molto difficile.
Come si può inserire la Caritas in questo contesto?
In questo scenario il compito della Caritas è di far conoscere le situazioni di povertà dei paesi di provenienza degli stranieri e di richiamare i valori fondamentali, perché come cristiani non possiamo dire il “Padre nostro” se poi alcuni figli li mettiamo alla porta o li respingiamo. Certo, quello dell’immigrazione è un fenomeno molto complesso che va governato, ma con rispetto della persona e umanità.
Oltre agli immigrati quali altre emergenze caratterizzano la società italiana?
Ci sono tre situazioni particolarmente esposte: i giovani che non trovano lavoro o che ne hanno uno precario, per cui non possono fare un progetto di vita. In secondo luogo, chi aveva un lavoro e lo ha perso e non può contare su coperture adeguate. Ci sono poi le persone che hanno difficoltà particolari, come i disabili e gli anziani. Queste situazioni particolarmente esposte non si possono risolvere solo con l’assistenza: bisogna rivedere l’organizzazione della società, che in questo momento tende a premiare i più forti e gli altri si arrangino.
Riusciremo a invertire la rotta?
Per sopravvivere bisognerà invertirla per forza, ma non so con quanta sofferenza. Si pensi per esempio a come possono essere disposti verso di noi coloro che hanno fatto sacrifici immensi per poter arrivare in Italia e poi si sono visti riportati indietro: noi così rischiamo di costruire dei terroristi, perché è tra loro che poi attingono le cellule del terrore. C’è di mezzo la pace sociale, di cui abbiamo bisogno tutti perché se questa venisse a mancare anche chi è in condizioni di benessere non vivrebbe bene.
Articolo tratto da Redattore Sociale