Un gruppo di lavoro composto dai migliori esperti in materia vuole risolvere l’ambiguità tra “lavoro sociale” e “servizio sociale”. Quest’ultimo non può e non deve essere sostituito dal volontariato
Lavoro sociale e servizio sociale sono due termini che troppo spesso vengono considerati interscambiabili, pur non essendolo. Se da un lato questo può essere positivo perchè conferma la necessità di investire sul sociale nella presa in carico di persone in condizioni di bisogno, dall’altro questa confusione tra i termini sta diventando molto pericolosa. Il servizio sociale, infatti, rischia di essere fagocitato nel più ampio cappello del “lavoro sociale” e di non vedersi riconosciuta la propria peculiarità e importanza, con la conseguenza che tende a essere sostituito da una semplice attività volontaristica a basso costo o a costo zero. Una inclinazione, questa, che viene accentuata soprattutto in tempi di crisi come quelli che stiamo vivendo.
Riportare il servizio sociale professionale al centro, evidenziarne le peculiarità, favorire un nuovo dibattito sulla questione è l’obiettivo perseguito da un gruppo ristretto ma specializzato di ricercatori che ha deciso di affrontare e risolvere l’ambiguità tra lavoro e servizio sociale. L’obiettivo è di riuscire a spiegare perché quest’ultimo debba essere centrale nel lavoro di presa in carico e perché non possa essere sostituito da un volontarismo di buon cuore ma talvolta poca formazione.
Il gruppo di ricerca nei giorni scorsi si è riunito a Bolzano, nella sede della Libera Università che – unica in Italia – possiede un professore ordinario di Servizio sociale che ne è anche il Rettore, a testimonianza dell’importanza riservata alla materia. L’equipe si è posta l’obiettivo di definire meglio l’apporto dei diversi profili professionali e di caratterizzare maggiormente le competenze del Servizio sociale professionale. “In questo ambito il maggiore problema odierno – spiega il direttore della Fondazione “E. Zancan” onlus di Padova, Tiziano Vecchiato – è che per gran parte la formazione universitaria è concentrata sull’aspetto sociologico più che su quello professionalizzante, con poca attenzione all’approfondimento delle tecniche e delle metodologie professionali. Invece l’assistente sociale nel proprio lavoro deve essere in grado di collegare i bisogni della persona alle esigenze della persona e della famiglia, valorizzandone le capacità. Per fare questo è necessario una delicata opera di tessitura, che promuova una maggiore efficacia. L’intervento, in sostanza, deve essere fatto da chi lo sa fare”.
I prossimi passi del gruppo di ricerca saranno indirizzati alla costruzione di proposte teoriche, metodologiche e pratiche, da diffondere attraverso una pubblicazione per sollecitare un nuovo approccio che attualizzi il problema e le possibili soluzioni. Fanno parte del gruppo alcuni dei massimi esperti in materia: Anna Maria Campanini, dell’Università Bicocca di Milano, presidente del Comitato esecutivo European Association of Schools of Social Work; Milena Diomede Canevini, per anni direttrice della Scuola per operatori sociali di Milano; Maria Dal Pra Ponticelli, per molti anni ha insegnato all’Università di Siena; Silvia Fargion, della facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bolzano; Walter Lorenz, rettore dell’Università di Bolzano; Elisabetta Neve, docente di Servizio sociale alle Università di Verona e Padova; Francesco Villa, professore all’Università Cattolica di Milano; Mirella Zambello, rappresentante dell’ordine nazionale degli assistenti sociali; Italo De Sandre, docente all’Università di Padova; Tiziano Vecchiato, direttore della Fondazione Zancan.