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Solidarietà moltiplicativa contro lo spreco del welfare

Anno nuovo welfare nuovo?

La prima sorpresa potrebbe venire dal piano di lotta alla povertà. Speriamo vada “piano”, non nasca prestazionistico, senza visione strategica, dopo anni di misure e non di lotta alla povertà. Intanto i bambini e ragazzi poveri sono raddoppiati. Destiniamo il 60% della spesa di welfare agli anziani e meno del 5% a infanzia e famiglia, Solo il 9% di tutti i trasferimenti monetari va al 20% più povero della popolazione, contro il 21,7% in media dei Paesi Ocse. La popolazione a rischio di povertà dopo i trasferimenti (escluse le pensioni) si riduce di 5 punti (media europea 9 nel 2012). Ogni milione di euro in trasferimenti sociali (escluse le pensioni) fa uscire dal rischio di povertà 39 persone contro le 62 della media Ue (45 in Germania, 56 in Francia, 70 in spagna, 72 nel Regno Unito, 76 in Svezia). Ogni anno il 5% del Pil (80 miliardi di euro) è per interessi sul debito. Potrebbero essere 50 se fossimo in media UE (3%). È spreco sistematico di risorse senza occupazione di welfare e meno povertà.

Le 7 piaghe

L’1% di Pil in spesa pubblica, se destinato alla lotta alla povertà, la ridurrebbe di 2,25 punti percentuali, come nella media di 30 Paesi Ocse (“Cittadinanza generativa” ed. il Mulino 2015). Le sette piaghe di welfare sono il grande ostacolo: sussidiarietà a respiro corto, prestazionismo degenerativo, presunzioni da secondo welfare, approcci assicurativi della protezione sociale tradizionale, diritti senza doveri, aiuto che non aiuta, neo istituzionalizzazione. C’è quanto basta per spiegare i numeri impietosi, che ci dicono anche quanto e come potremmo migliorare, con diritti a corrispettivo sociale. Sono potenziale generativo a disposizione, se impariamo a pensare per investimenti sociali, “credendo nelle persone”. La lotta alla povertà si fa con i poveri perché senza di loro è impossibile. Significa riconoscere ad ogni persona dignità e capacità, non mancarle di rispetto, non ridurla ad assistito, non perpetuare il rapporto di potere tra chi aiuta e chi è aiutato. Il consenso democratico non si conquista così, ma alimentando sistemi di fiducia.

Cittadinanza generativa

Significa nuovi modi di essere società con le persone, mentre i diritti a riscossione di prestazioni sono sempre più deprivati di responsabilità sociale. Non garantiscono più la redistribuzione che riduce le disuguaglianze. In passato sono stati rivoluzionari, riconoscendo dignità, rispetto, tutela, libertà. Ma oggi è necessario riaffrontare questa sfida, socializzando il rendimento dei diritti, mentre l’entropia da individualismo fa implodere la sostenibilità dei sistemi di welfare. La cittadinanza generativa ci spinge oltre il welfare assicurativo, quello capace di “raccogliere e redistribuire”, ma incapace di osare di più, per “rigenerare, rendere, responsabilizzare”. Abbiamo bisogno di solidarietà moltiplicativa, a chilometri zero, con ogni persona, anche con i poveri, rigenerando i valori a disposizione. Ci vorrà tempo. Chi ha provato a lottare “con i poveri” contro la povertà ha potuto non solo conoscere ma anche misurare i potenziali del rendimento generativo: meno povertà, più umanità e sussidiarietà, più impatto sociale da condividere e reinvestire. Che sia un buon anno.

Fonte: Rubrica Welfarismi di Tiziano Vecchiato, Vita, gennaio 2016